Incontro con la scrittrice FRANCESCA LONGO |
Vincitrice
della sez. "Narrativa 13 - 16 anni" del Premio Nazionale di
Letteratura per ragazzi |
Chi
è Francesca Longo? Francesca Longo è figlia, madre, giornalista e scrittrice. Ma è soprattutto una persona che dall’infanzia guardava le altre persone, senza le quali sapeva che lei non avrebbe potuto esistere. Così, a sei o sette anni, se ne stava ore alla finestra ad osservare la gente (persone) che passava per strada, cercando di capire che lavoro facesse, a cosa pensasse. A sedici ha cominciato a raccontarla facendo teatro. Poi è scivolata nella vita apparentemente adulta, con la stessa curiosità che aveva da bambina. E ha deciso di trovare le parole per renderla protagonista. Col giornalismo prima, coi libri poi.
Perché non so stirare e qualcosa devo fare anch’io. Prossimamente mi dedicherò esclusivamente alla cucina (sono un’ottima cuoca), ma è un mestiere che ho imparato tardi, alle soglie dei 50 anni. Scrivere era l’unica cosa che mi veniva benino sin da piccola. E poi scrivere significa pensare e ripensare, leggersi e rileggersi e, alla fine, approfondire sul serio le cose che pensi. O che sogni.
Dalla vita e dagli altri. Ogni relazione, che sia virtuale a computer o diretta è una straordinaria fonte di ispirazione. E’ un libro possibile. C’è tanta gente che dice “Se solo raccontassi la mia vita…sarebbe un romanzo!” ed è vero. Tutte le nostre vite sono un libro, è difficile raccontarle tutte. Ma è molto bello se riesci a metterle insieme e raccontarne tante simili, in modo che chi legge si riconosca, si emozioni, rida e pianga. Spezza la solitudine e tu ti senti meno inutile e imbranata (visto che non sai stirare).
Ognuno di noi ha la sua forma di espressione. Io ci provicchio coi video e il computer, ma non ho più l’età (anche se faccio parte dei pochissimi che programmavano in Basic alla nascita del computer…ma allora era un linguaggio come un altro, adesso le cose semplicissime si sono fatte più complesse, o meglio si sono involute, e non ho il ‘dizionario’). La mia forma di espressione è la scrittura e la parola. Sono grafomane compulsiva e logorroica. Scrivo per fissare in un qualsiasi luogo (carta o computer) quello che rischierei di perdere per strada. Parlo perché è l’unico modo che ho per avvicinarmi alle persone, di cui sono tossica. Io mi faccio di persone, mi aiutano a crescere, mi fanno sentire viva. La mia vita senza gli altri sarebbe assolutamente priva di senso. Ecco, diciamo che non sono timida, un lusso che non mi sono mai concessa dal momento che sin da piccolissima cambiavamo città ogni anno, per via del lavoro di mio padre. Mia sorella si chiudeva sempre di più nel suo guscio, io mi costringevo ad aprirmi al mondo. Questione di caratteri. Avevo pochi mesi per fare amicizia e sapevo che pochi mesi dopo non ci saremmo più rivisti. Me n’ero fatta una ragione. E’ una forma di nomadismo che in qualche modo ti porta al bisogno di voler ‘fissare’ in tempo e spazio quanto hai avuto e perso.
Non so scrivere poesie. Non ci proverei mai. Ho studiato greco al liceo, ma in metrica ero una schiappa. Hanno provato a farmi studiare almeno chitarra, ma tutto ciò che ho dato alla musica è un ex marito pianista concertista. Preferisco il piatto fluire della prosa, la ricerca della parola, l’armonia del congiuntivo e di una frase complessa. Lo confesso (posso?): godo. Se mi viene una frase come voglio io sono felice come una bambina. Amo oltre misura la lingua italiana che trovo sia una fonte inesauribile di possibilità di esprimere pensieri persino elaborati e alti. Sono laureata in Lettere, tesi in Linguistica, laureata con la persona che ha importato in Europa la grammatica generativa trasformazionale di Noam Chomsky, Giuseppe Francescato. Parlo correttamente tedesco e francese, biascico un po’ di russo, serbo, croato, ebraico, sloveno. Più greco e latino di quando ancora esistevano i licei. Capisco l’inglese (lo leggo e se dal caso lo ascolto), nessuno è riuscito coi tanti corsi che mi son stati fatti fare in vita a portarmi oltre ‘The book is on the table’ e ritengo che dietro una lingua ci sia anche un modo di affrontare la realtà. Tedesco e russo ad esempio semplificano per quel che riguarda i vocaboli. L’inglese semplifica tutto. L’italiano è il massimo della complessità. Mi dispiace molto che nessuna riforma tenga conto dell’immenso potenziale di pensiero che si cela dietro lo studio della lingua italiana.
Tutto. Il contatto diretto, le domande, le critiche, la curiosità, che esiste in tutti come è esistita per me. La noia di dover essere presenti perché l’ha deciso prof e preside, la battuta sul compagno di classe. E’ come ritornare ogni volta a quelle età che mi porto dentro (otto anni, sedici?) e a cui voglio molto bene. E’ come guardare dal buco della serratura il futuro. Un regalo immenso. I sé dicenti adulti di solito sono assolutamente noiosi, compresi nella parte più o meno intellettuale, politica, provocatoria. Insomma devono essere per forza molto intelligenti o apparire tali agli occhi degli astanti. I ragazzi di solito parlano un linguaggio trasversale tra loro e io mi godo il privilegio di assistere, sto in platea. E mi proietto in anni in cui, per raggiunti limiti d’età, non ci sarò. E’ un regalo. Che
giudizio dai degli insegnanti che hai incontrato? Santi subito? Gente che vive dentro lo sfascio più totale di qualcosa che funzionava (a differenza delle ferrovie ecc.) e che ha ancora la voglia e l’energia (per una paga pari a quella che prende una diciassettenne che abbandona la scuola e va a lavorare in gelateria al nord- ne parlo con ampia cognizione di causa) di dedicarsi al futuro? Ma che giudizio può avere una persona come me di queste straordinarie persone che rifiutano l’idea che la scuola sia un parcheggio dai sei anni a quando non trovi un lavoro precario, per permettere a mamma e papà di andare a lavorare? Santi subito. Sono loro che mandano avanti quel poco che c’è rimasto di cultura in Italia. Sono loro che fanno qualunque riforma. Ma la mia opinione non conta. La mia vita è stata seminata di ‘bravi maestri’, a partire dalle scuole medie per arrivare all’Università. Cito qualche nome oltre a Francescato? Giuseppe Petronio e, ma più piano perché lo prendo in giro da anni, Claudio Magris. Come scrittore non mi piace, ma come germanista era un mito.
I ragazzi di oggi sono i ragazzi di oggi, come noi eravamo i ragazzi di ieri e i nostri genitori quelli dell’altro ieri. Parto dal presupposto che sono persone. Ognuno sogna qualcosa per sé e lo mette in comune con altri simili. Non c’è un motivo che sia uno per condividerlo con un adulto, dal momento che l’adulto, a parte i soldi, condivide ben poco con loro. Vivo in una città dove, se alle 11 di sera c’è musica, c’è sempre una vecchia che chiama la polizia... Cosa vogliano lo sanno loro, se le mie intercettazioni funzionano magari lo metto in un libro. Ma è come un’operazione di spionaggio, da cui le mie figlie si sono dissociate immediatamente. Coi loro amici è più facile, così li racconto, mi faccio fare a brandelli, e mi diverto. E scopro che c’è un mondo molto diverso da quello raccontato nelle cronache dei giornali, un pianeta di tenerezze e paure, ma anche di grande determinazione. Che sono giustamente critici nei nostri confronti (in qualità di sé dicenti adulti) e che quelle critiche non sono per nulla aria fritta. Ma non hanno spazio. Coi libri cerco di trovarglielo. Spero di esserci riuscita e di riuscirci. Col giornalismo era impossibile. Quanto alla scuola, beh, che torni al suo mestiere, che non è manageriale. La scuola non è una fabbrica. La scuola è trasmissione di conoscenza. E se qualcuno sa e parla, nessun giovane non ascolta. Ma neanche quello sordo (lo dico con cognizione di causa, avendo avuto una figlia sordomuta)…La scuola è fatta – ma l’ho già scritto- dai professori. E i professori devono essere motivati. Certo è che motivare con paghe da fame una persona è un po’ dura…
Lapidaria. Rispondo come se fossi Berlusconi: ho tre televisori, ma non ne guardo nessuno. Qualche volta li spolvero (è più facile che stirare). Voglio aggiungere qualcosa, anche se non mi
hai fatto la domanda: |